martedì 7 febbraio 2023

Sciacca, Borgo GeniusLoci De.Co.

 

 

 I due ambienti dove nacque la tradizione dolciaria siciliana furono la famiglia contadina e i monasteri.

 A Sciacca un tempo vi furono ben quattro monasteri, di cui il Monastero di Santa Maria dell’Itria, detto Badia Grande, ebbe grande importanza nel panorama monastico dell’Isola. A questo monastero sono legate due produzioni dolciarie tipiche saccenti: l’Ova murina e le Cucchitedde. Al di là delle leggende o della storia di tali dolci, essi furono, come accadeva sovente in altri monasteri della Sicilia, mezzo di comunicazione tra chi dentro produceva i dolci e chi fuori li acquistava attraverso la “ruota”.

 




 

Sciacca, Borgo Genius Loci De.Co.

 L’Amministrazione Comunale guidata nel 2020  dall'Avv Francesca Valenti   ha avviato il percorso, con deliberazione della giunta municipale n 164

I Borghi GeniusLoci De.Co. puntano sui prodotti identitari, un piatto, un dolce, un sapere, un evento, etc. con il quale una comunità si identifica, per elementi di unicità e caratteristiche identitari e   non deve essere visto, né come una gara di Formula 1,  né una corsa ad ostacoli, ma un modello che preveda il coinvolgimento e la condivisione della città e dei cittadini, per la valorizzazione dell’identità e delle unicità dei territori. 

 Il valore del prodotto identitario, ed è il caso dei prodotti De.Co. sta nella storia  o nella leggenda  narrante della tradizione identitaria, diversamente si tratta solo un mero prodotto commerciale, (tipico) ottimo, ma senza ne anima, ne storia, senza Genius Loci. 

Le De.Co. (Denominazioni Comunali) nascono da un’idea semplice e geniale del grande Luigi Veronelli, che così le spiegava: “Attraverso la De.Co. il "prodotto" del Territorio acquista una sua identità.” Rappresenta un concreto strumento di marketing territoriale, ma soprattutto un’importante opportunità per il recupero e la valorizzazione delle identità e le unicità locali.  

«La denominazione comunale (De.Co.) “Borghi Genius Loci” è un atto politico, nelle prerogative del Sindaco, che presuppone una conoscenza del passato, un’analisi del presente ed una progettualità riferita al futuro. Il tutto nell’ottica del turismo enogastronomico, che se ben congegnato e gestito, costituisce una vera e grande opportunità per lo sviluppo dell’economia locale, specie per le  comunità rurali, che nei rispettivi prodotti alimentari e piatti tipici hanno un formidabile punto di forza attrattiva nei confronti del visitatore.

Con questi presupposti è nato il percorso  Borghi GeniusLoci De.Co  elaborato dalla Libera Università Rurale dei Saperi e dei Sapori Onlus,   inserito tra gli esempi virtuosi del   Forum Italiano dei Movimenti per la terra e il paesaggio e presentato al Poster Session del Forum Pa   di Roma, all’Expo di Milano,  prevede un modello di De.Co dove gli elementi essenziali di relazionalità sono Territorio-Tradizioni-Tipicità-Tracciabilità-Trasparenza che rappresentano la vera componente innovativa, ma soprattutto rispettose delle direttive nazionali e comunitarie in materia

 

 

Noi siciliani abbiamo avuto storicamente una propensione al consumo di dolci, tanto che in nessun’altra regione ne fu mai inventata, creata, realizzata un così grande quantità. L’abbondanza in fatto di dolci è legata alla ricchezza di prodotti che ci offre il territorio: la farina, la mandorla, il pistacchio e il miele, la ricotta, ect  che rappresentano gli elementi principali nella preparazione di molti dolci siciliani.   Alcuni di questi prodotti sono stati introdotti in Sicilia dagli Arabi.

Il primo ambiente in cui nasce la tradizione dolciaria siciliana è la famiglia contadina. Un’altra fonte di ispirazione dei dolci siciliani è l’ambiente monastico. Anticamente nei monasteri siciliani, di cui 21 nella sola Palermo, venivano preparate le specialità chiamate li cusi duci di li batii specialità tutt’oggi apprezzate e ricercate e che ora vengono prodotte dalle famiglie e dalle abili mani dei pasticceri.

 L’ambiente monastico, luogo di silenzio, dove le suore si dedicavano alla preghiera e alla contemplazione, era anche luogo dove le suore, in particolare quelle di clausura, si dedicavano alla preparazione di dolci, delle cui ricette erano alquanto gelose, tanto che molte di esse sono andate perdute.

In Sicilia ogni festa ha il suo peculiare aspetto gastronomico

Dagli Arabi, infatti, l’arte di preparare dolci si è trasferita nei conventi, dove è stata portata avanti con  entusiasmo, talvolta anche eccessivo: è storico il provvedimento del Sinodo Diocesano di Mazara del Vallo che nel 1575 proibì la preparazione di dolci nei conventi, per non distrarre le monache dalle pratiche religiose durante la Settimana Santa.

Nella città di Sciacca vi erano i monasteri dove le suore di clausura erano solite preparare dolci: il Monastero della Badia Grande,   il Monastero di Santa Caterina, il Monastero delle Giummare e il Monastero della Chiesa di Loreto (o Badia Piccola).

Il Monastero di Santa Maria dell’Itria (Badia Grande) fu fondato  da Guglielmo Peralta tra il Quattrocento e il Cinquecento. A quell’epoca la Badia Grande era il monastero più importante della Sicilia e fungeva da collegio per le nobili figlie dell’aristocrazia siciliana. Infatti, mentre il primogenito ereditava il titolo, gli altri figli di solito entravano in convento o si arruolavano. Le donne entrando in convento portavano con sé sia il corredo che la dote. Tra queste figlie dell’aristocrazia siciliana, racconta una leggenda che circola a Sciacca, vi era la figlia del principe di Butera, uno dei più importanti nobili della Sicilia del fine Seicento e inizi Settecento. Il principe di Butera aveva alla sua corte un cuoco francese, i famosi Monsù.

 

La figlia del principe di Butera quando entrò in convento alla Badia Grande non portò soltanto corredo e dote ma anche il Monsù. Questi era solito preparare per la principessa le sue specialità, tra cui dei dolci che avevano il nome di Ova Murina e  le  Cucchitedde.

Da quel momento in poi nel monastero della Badia Grande anche le suore impararono a confezionare i famosi dolci, introdotti dalla figlia del principe di Butera.  

Tra i principali dolci, simbolo della pasticceria saccense, vi sono Ova murine e Cucchitedde.

Le Ova murina sono a base di uova, cacao amaro, mandorle tostate e poi schiaccciate con il matterello: nella preparazione veniva fatta come una frittatina, simile alla crepes, in cui le mandorle schiacciate appaiono come macchie bianche nel composto scuro, ricordando così il pesce murina da cui appunto il dolce prende il

nome. Queste frittatine poi, arrotolate come un cannellone, vengono farcite con una crema al latte, comunemente chiamato biancomangiare aromatizzato con cannella e zuccata e pezzetti di cioccolato fondente.

Anche le Cucchitedde sono a base di mandorle sgusciate e spellate, dopo essere fatte asciugare per oltre 24 ore in modo da perdere tutta l’umidità. Il tempo dunque era elemento importante, oltre l’amore nel realizzarle. Le mandorle ben asciutte poi venivano macinate e cucinate nello zucchero fatto sciogliere e portato alla cotture del filo grosso, cioè fatto sciogliere con cottura di pochi minuti e successivamente si stendeva su un piano di lavoro di marmo, non appena tiepidi si iniziava a lavorare l’impasto con la spatola di legno. La pasta di mandorla, dopo essere stata impastata e lasciata raffreddata, si prende a palline e schiacciandola con le mani si riempie di zuccata di zucca bianca, ovvero quella di tenerume come viene chiamata nel linguaggio comune. Racchiusa questa cucchitella, le si da una forma ovale a cucchiaio. In alcune versioni si parla di dolce a cui la forma veniva data con due cucchiai, ma le monache di clausura facevano anche delle forme a cuoricini quando erano richieste dai fidanzati. La ghiaccia reale o velata veniva posta sopra i cucchitelli, un’altra versione è quella con lo zucchero a velo ed un’altra ancora è la cucchitella nera, preparata con cacao.

Dopo il 1860, con l’incorporazione dei beni ecclesiastici da parte dello Stato, la preparazione dei dolci e la vendita divenne l’unica fonte di sostentamento per le suore e alcune di esse continuarono vita monacale fuori dai conventi, in abitazione private.

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