Trapani, alla ricerca del GeniusLoci.
il Cuscusu
di Francesco Bonomo
Chef e Custode dell'Identità Territoriale
Ricerca storica per l'individuazione degli elementi identitari di un Borgo GeniusLoci De.Co
....alla ricerca del GeniusLoci, è
un iniziativa riservata ai "Custodi dell'Identità
Territoriale" della LiberaUniversitàRurale, si
propone di diffondere la conoscenza e la cultura del territorio attraverso
l’organizzazione e la promozione dei prodotti identitari.
Il nostro obiettivo è accompagnare la
valorizzazione dei simboli della nostra terra, il profumo del nostro mare,
uniti alle bellezze ambientali. In questo percorso, chef, gastronauti,
giornalisti, sommelier, associazioni, pro-loco, intenditori e appassionati,
sono partners privilegiati, a divenire Custodi dell’identità
territoriale.
La “fusione” tra coscienza collettiva e
patrimonio culturale è l’obiettivo portante.
E’ chiaro che la trattazione
sull’argomento cuscusu non è impresa facile, specialmente in provincia di Trapani che è stata spodestata della sua
centralità nella storia di questo cibo che è alimento principe non solo del
nord Africa o meglio delle zone subsahariane e poi di tutto il mediterraneo, di
tutte le sue sponde e dei suoi popoli.
Certamente città come Mazara,
Marsala e Trapani occupano un posto preminente nella divulgazione di questo
alimento, sia per motivi storici antichi sia per i rapporti più recenti, dal
secolo XVI in poi.
L’invasione della Sicilia da parte
degli arabi del Maghreb nell’830 d.C. ed il loro sbarco a Mazara e quindi la
conquista prima di questa parte della zona occidentale dell’isola potrebbe
avere sicuramente influenzato il gusto dell’alimentazione e quindi aver
favorito l’introduzione del couscous in seno alla popolazione che era
prettamente cristiano-bizantina.
Ma la tesi non è suffragata da una
documentazione di autori tramandata e neanche di ricerche e scavi di natura
archeologica.
Nel basso medioevo e fino agli
inizi dell’età moderna Trapani è punto d’incontro e di arrivo di tante
avventure, dalla pirateria barberesca e cristiana, al passaggio di crociati
fino alla venuta degli aragonesi con re Pietro che sbarca nella nostra città
nel 1282. Il punto nodale è costituito dall’avvento della schiavitù domestica,
con la collocazione all’interno delle nobili famiglie di uomini e donne
soprattutto provenienti dalla Barberia.
Una ricerca storica approfondita
non è stata mai attuata, anche perché in questo campo occorrerebbe impegnare
intere equipes di studiosi. Tuttavia oggi le cose sono mutate e diversi
studiosi e ricercatori si sono impegnati per sfatare leggende e storie
fantastiche.
Il fondo di verità tramandatoci
dalla letteratura con le novelle del Boccaccio e del Novellino viene confermato
dalla documentazione notarile, conservata nell’archivio di stato di Trapani e
più volte consultata dagli studiosi stranieri come l’israelita Ashtor ed il
francese Henri Bresc.
Presso il notaio Giovan Antonio
Fardella del sec. XVI, in un inventario successivo al testamento della nobildonna
defunta donna Giovanna de Graffeo in data 21 marzo del 1550, vengono citate due
schiave nominate, una Anna ed una, Fatima.
Tra gli altri oggetti citati, sia
di biancheria come di rami e argenti, viene citata <<una pignata di ramu
di cuscusu>>. E’ la prima citazione nella storia delle ricerche
sull’origine del cuscusu a Trapani. Sembrerebbe strana la citazione di una
stoviglia costruita con foglia di rame, probabilmente all’interno lavorata a
stagno. Ma se consideriamo che le stoviglie di rame appartenevamo di solito
alla classe nobile e che le stoviglie di cotto erano appannaggio del
popolino,la citazione non sembrerà stramba.
Per riandare ad una analisi
semiologica del termine, possiamo dire che nella sua descrizione
tecnico-pratica, il Cuscusu appare nei dizionari settecenteschi siciliani,
quali il Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino dell’abbate
Michele Pasqualino da Palermo, stampato nel 1785 dalla reale stamperia.
Scrive il Pasqualino che il
<cuscusu> è una sorta di pasta per lo più fatta di semola ridotta in
forma di picciolissimi granelli, che cotta si mangia in
minestra, semolino.
P.M.S in cuscusu. Dice
“Simola subacta in minutos globulos per cribrum redacta Graece kÒskinon
coskìnon est cribrum a quo videtur formatum &c. Vinci cuscusu Similago
, seu globuli e simila vox Arabica Jo. Leoni in descriptio Africae p.2 f.12 de
populis regionis , haec ita scribit : sogliono mangiare, carne
bollita, ed insieme cipolle, e fave, o pure l’accompagnano con un altro
cibo detto da essi cuscusu. Poi il Pasqualino conclude citando il
<Cuscusu asciuttu, sorte di dolce fatto di semola ridotta a pallottoline
condita di zucchero e cotta con fumigio; si potrebbe dire semolino dolce>.
>L’ultima citazione si riferisce al cuscusu dolce, oggi di nuovo in uso
nella ristorazione.
La descrizione è imprecisa ed
imperfetta, tuttavia risponde per la maggior parte ai canoni conosciuti.
Nell’opera del Ragona,<La
maiolica siciliana>, edita dal Sellerio, viene citato un inventario di beni
del fu Don Giovanni de Jnnava Remanzon del 3 luglio 1576, ricavato dagli atti
della Curia delle cause Civili di Siracusa, elenca <vetragli di
Nicossia>, come pure <un bacile> e < tri piatti grandi di Nicossia
di maccarruni ditti marfarati>. La citazione era dovuta ad un riferimento di
una produzione di maioliche della città di Nicosia, produzione che sostiene
Ragona non andò oltre il secolo XVI.
La citazione era tratta da
documenti dell’Archivio del Duomo di Piazza Armerina (vol.4 feudo Camitrici,
f.123).
Quello che colpisce nella citazione
del Ragona è la parola <marfarata> che viene citata poi di recente nel
dizionario del Piccitto (1950-). La prima parola citata nel dizionario è
<mafararda> (usata nel trapanese) che rimanda a <mafarata>.
La parola <mafarata> (citata
dal Malaspina ed altri) si configura in un vaso di creta o di legno, concavo,
un catino, ma anche in un sorta di piatto, scodella, spesso di creta. A sua
volta il Piccitto rimanda alla parola <mafaradda> (usata nel trapanese),
a mafararda, a maffarada, a maffarrata, a marfarada, a mmaffarata. Ed infine
dice cfr. con ammafaredda, marfarata.
Il dizionario riporta la parola
<marfarata>, usata nell’ennese.
Infine, riandando quantità, ad es.
di ciboai vocabolari storici, come il Pasqualino del secolo XVIII, si cita la
parola <mafarata>, sorta di vaso fatto di creta concavo, rotondo, a
somiglianza di concola, ma più piccolo, vasello, vasetto, vasculum, crater e
dice che è ignota l’etimologia.
Quindi si può ben dire che questo
strumento della civiltà materiale, della vita quotidiana, si rifà ad un termine
linguistico antichissimo, ma di cui si sconosce l’origine.
Nel saggio dell’Adragna su
“L’ambiente di Erice dai Romani agli Arabi (III-IX secolo d.C.) l’autore si
rifà all’Amari che così recita testualmente: <<per 243 anni che tanti ne
corsero dalla conquista dei saraceni a quella dei normanni, io non trovo negli
annali di Sicilia registrato verun fatto memorabile che ci attesti lo stato di
Erice sotto i Saraceni. Tutto però ci induce a credere che Erice nostra non
doveva a quei tempi e per la sua posizione e per la sua rocca essere di lieve
importanza, se non come città frequente di popoli e di commerci, almeno come
castello e fortezza.”
Ma se tutti i casali “riahl” e i
“manzil” di cui erano cosparse le falde ericine sono poi svaniti nel tempo,
sono rimaste invece, sostiene l’Adragna, numerose tracce nella toponomastica e
nell’uso linguistico. A tal proposito, oltre a citare i toponimi di molti
luoghi, l’Adragna elenca una serie interminabile di nomi di oggetti e usi di
chiara origine arabeggiante, fra i quali il cuscusu di cui spiega le differenze
con l’originale arabo. Mi piace evidenziare quanto scrive a proposito della
<<mafàradda>> : vaso di terracotta verniciato all’interno con uno
speciale smalto verde a forma di ampio tronco di cono poggiante sulla base
minore che serve “per ‘ncucciari il cuscusu”.
Ricerche appropriate non sono state
mai condotte sugli utensili della vita quotidiana, ma certamente la ricerca
d’archivio potrebbe dare maggiore luce.
Occorre però nel contempo ricordare
che questo cibo particolare viene citato in documenti dal quattrocento in poi
per il semplice motivo che veniva usato anche in altri territori siciliani, ad
opera di conventi e di monaci, documenti citati da studiosi importanti quali
Henri Bresc, Marcel Aymard ed altri. I due famosi storici francesi Bresc ed
Aymard, nel loro saggio “Nourritures et consommation en Sicile entre XIV et
XVIII siècle “ raccontano che “encore au XVI siècle on trouve trace de
bouillies (cuccia), ou, plus encore, de couscous : cuisinè aujourd’hui
seulement autour de Trapani, il y est considéré comme une importation de
Tunisie. Mais la semoule et le couscous figurent régulièrement dans tou le
tarifs municipaux de Palerme, et les religieuses du Monastere du Salvatore en
mangent le jour de Noel 1694. Un plat de fete donc , de meme d’ailleurs, très
long-temps, que le pates”. La citazione dell’importazione del couscous dalla
Tunisia, fatta da Henri Bresc, non è amena in quanto l’emigrazione anomala dei
trapanesi verso il nord Africa alla fine del secolo XIX, in un periodo di
grande crisi economica e di sviluppo della colonia francese della Tunisia, fu
notevole. Ma trattasi certamente di una seconda o terza importazione storica di
questo cibo eccezionale. Una storia, quella del couscous, lunga ed infinita, ma
affascinante.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
INGREDIENTI PER COUS COUS DI PESCE
·
300 GR DI SEMOLA PER COUS COUS
·
1.5 KG DI SCORFANO, BOGA, CERNIA.
·
GR 100 OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA
·
3 SPICCHI DI AGLIO
·
PEPE Q.B
·
CONCENTRATO DI POMODORO GR 100
·
SALE Q.B
·
PREZZEMOLO 1 MAZZETTO
·
N.2 CIPOLLA
·
VINO BIANCO Q.B
·
SCORZA DI LIMONE
Il "cous cous della mia tradizione é con "ghiotta di pisci" (zuppa di pesce). Nel frattempo che la semola incocciata si cucini a vapore, come ho spiegato prima, si prepara la zuppa di pesce che é fondamentale per insaporire la semola. Si usano di solito scorfano, cipolla, tracina e vopi (boga) ma personalmente aggiungo anche "aranci di mare"(granchio melograno) e "muccuna"(murici dello Stagnone) pesci poveri ma ricchi di gusto e profumo.Quando la semola é pronta si condisce con questa zuppa , arricchita anche con aglio e pomodoro e cosí si crea il cous cous con una esplosione di profumi e sapori unici! Per me il cous cous é di pesce perché comunque essendo originario di Marsala , una città di mare, sole e sale, la mia cultura e tradizione mi porta una preferire e lavorare il pesce. Rappresenta il piatto delle feste tipico della mia infazia e mi piace ricordarlo e riportarlo oggi nella mia cucina!
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