di NinoSutera e Luigi Parello
Il percorso Borghi GeniusLoci De.Co., è un percorso culturale, che mira a salvaguardare e valorizzare il “locale”, rispetto al fenomeno della globalizzazione, che tende ad omogeneizzare prodotti e sapori. Il Genius Loci rappresenta l'essenza, l'identità di un territorio; ad esso appartengono le immagini, i colori, i sapori ed i profumi dei paesaggi. Obiettivo del Percorso GeniusLoci De.Co. è recuperare l’identità di un luogo, attraverso anche le valorizzazione delle produzioni di eccellenza e delle tradizioni storiche e culturali dello stesso, al fine di ottimizzarne la competitività.
Per
garantire la sostenibilità del percorso occorrono
tuttavia quattro principi, la storicità e l'unicità,
l’interesse collettivo, condiviso e diffuso e a burocrazia e a costo zero Il
mito che circonda la maggior parte dei territori rurali di successo, assomiglia
a una favola vera fatta di personaggi e di eccezionalità, e di unicità. Aspetti
importanti che collocano l’idea dei Borghi GeniusLoci De.Co. all’interno di un
percorso culturale e di pensiero innovativo volto alla difesa delle peculiarità
territoriali. Non potendo legare l'azione di forza alla qualità normata dai
Reg. comunitari, sta nell'unicità dell'identità l'azione vincente.
Il “Genius Loci", definito da Luigi Veronelli quale intimo e imprescindibile legame fra uomo-ambiente-clima-cultura produttiva. «Effetto GeniusLoci» è la capacità che deve avere un territorio, di « produrre », grazie al saper fare dell’uomo che possiede il gusto del territorio nel quale riconosce in modo permanente la singolarità ed il valore .
Le
De.Co. (Denominazioni Comunali) nascono da un’idea semplice e geniale del
grande Luigi Veronelli, che così le spiegava: “Attraverso la De.Co. il
"prodotto" del Territorio acquista una sua identità.” Rappresenta un
concreto strumento, un’importante opportunità per il recupero e la
valorizzazione delle identità e le unicità locali. La De.Co. è “un prodotto del
territorio” (un piatto, un dolce, un sapere, un evento, un lavoro artigianale,
etc) con il quale una comunità si identifica per elementi di unicità e
caratteristiche identitarie, deve essere considerata come una vera e
propria attrazione turistica capace di muovere un target di viaggiatori che la
letteratura internazionale definisce “foodies” viaggiatori sensibili al
patrimonio culinario locale e non solo.
Il valore di una De.Co.(Denominazione Comunale) è quello di fissare, in un dato momento storico, ciò che identifica quel Comune, a memoria futura oppure come occasione del presente, per cogliere un’opportunità di marketing. I prodotti agro-alimentari e artigianali racchiudono al loro interno tradizione, cultura, valori, conoscenza locale e, forse la cosa più importante, l’autenticità del loro territorio di origine.
Quando
il cibo viene ancorato in maniera identitaria ad un territorio, smette di
essere un momento culinario e diventa esperienza totale. In questo modo
coinvolge immediatamente i quatto sensi, vedere, annusare, gustare e toccare;
ma quando un cibo è veramente ancorato ad un territorio tocca anche l’udito,
perché si racconta e racconta il territorio. Quando arriva nel piatto, quel
cibo ti ha detto tante cose e quando lo assapori diventa esperienza avvolgente,
coinvolgente e identitaria di quel luogo. Il termine genius loci, di origine
latina, definisce letteralmente il “genio”, lo spirito, l’anima di un luogo è caratterizza
l’insieme delle peculiarità sociali, culturali, architettoniche, ambientali e
identitarie di una popolazione e l’evoluzione di quest’ultima nel corso della
storia. E’ quell’unicum che caratterizza la destinazione, quella particolare
atmosfera che rende un posto così speciale agli occhi del visitatore.
Per trovarlo bisogna saper ascoltare, osservare, riconoscere. Tutto questo rientra nei cosiddetti “fattori di attrazione” di una luogo, nelle attrattive di un territorio che portano poi il turista a scegliere un posto piuttosto che un altro. Identificare il genius loci di un luogo non è cosa semplice, prevede un percorso culturale che miri ad indagare e studiare a fondo la cultura autoctona, le sue peculiarità, le sue problematiche.
Favara comune dell'agrigentino, durante il periodo pasquale si svolge ogni anno la" Sagra dell'Agnello Pasquale", dedicata al dolce identitario di pasta di mandola farcito di pistacchio, a forma di agnello.
Il prodotto dolciario, gustato, conosciuto ed apprezzato in Italia ed all’estero.
L’agnello
pasquale, dolce favarese, trova
fondamento in una tradizione abbastanza antica
Fra
la fine del 1800 e l’inizio del 1900 ne fa un lacunoso accenno il barone
Antonio Mendola, ma l’uso di questo dolce era ancorato ad una tradizione
esclusivamente familiare e non poteva assolutamente gareggiare, per preferenza
e quantità, con i frutti di martorana ed i cannoli, molto apprezzati oltre
cento anni addietro dai favaresi, principalmente per Natale e Pasqua.
L’agnello
pasquale, preparato con pasta reale a base di mandorle, ripieno di pasta di
pistacchio e finito con velo di zucchero e decorazioni, è rimasto un dolce
strettamente artigianale e familiare fino alla seconda metà del 1900.
Questo
dolce è stato assaggiato il 12 maggio 1923, da mons. Giuseppe Roncalli
(1881-1963 - eletto Papa Giovanni XXIII il 28-10-1858), quando, essendo in
visita ad Agrigento, dovendo rientrare a Roma, il canonico Antonio Sutera volle
accompagnarlo fino a Caltanissetta e, passando per Favara, insieme si fermarono
nella sua residenza di via Umberto per prendere un caffé e, per l’occasione,
assaggiare questo dolce favarese preparato da suor Concetta Lombardo del
collegio di Maria.
Il
dolce venne talmente apprezzato da mons. Roncalli, al punto tale che a 40 anni
esatti dalla visita ad Agrigento-Favara, precisamente l'11 maggio 1963,
ricevendo il nuovo Vescovo ausiliare di Agrigento, mons. Calogero Lauricella,
accompagnato per l'occasione, dal teologo Antonio Sutera, studente all'ateneo
di Roma (nipote del canonico Antonio Sutera), Papa Giovanni XXIII volle
ricordare due cose in particolare: la visita effettuata ai templi di Agrigento
e il gusto particolare dell'agnello pasquale, consumato a Favara (v. foto).
Il
canonico Sutera, quando era direttore diocesano delle pontificie opere
missionarie e rettore del seminario di Agrigento più volte ha omaggiato mons.
Roncalli di questo squisito dolce favarese e successivamente, riprendendo una
vecchia e nobile tradizione, anche il Movimento Giovanile Studentesco di Favara,
il cui promotore era il sac. Antonio Sutera (nipote del suddetto canonico), a
quell'epoca rettore della chiesa del Rosario di Favara. Di quanto detto ne è
riprova una lettera della Segreteria di Stato del 18 aprile 1966, con la quale
l’eletto cardinale sostituto mons. Angelo Dell’Acqua comunicava a mons. Sutera
che Papa Paolo VI voleva ringraziarlo per l’invio dell’agnello pasquale (v.
foto).
Nel
novembre 2004, in occasione di un incontro di Papa Giovanni Paolo II
con alcuni disabili sono stati portati alcuni doni e, fra questi, anche un
agnello pasquale di Favara.
Ingredienti
1,4
kg di zucchero a velo
1
kg di mandorle
1
kg di pistacchi
500
ml d’acqua
Preparazione
dell’agnello pasquale di Favara
Sbollentare
e sbucciare le mandorle e i pistacchi. Quando entrambi gli ingredienti si
saranno raffreddati macinarli separatamente fino a ottenere delle farine fini.
Fare bollire in un tegame 700 g di zucchero a velo e 250 ml d’acqua.
Quindi togliere lo sciroppo dalla fiamma, aggiungervi il trito di mandorle e
impastare il tutto fino a ottenere una pasta liscia ed omogenea. Seguire lo
stesso procedimento per il trito di pistacchi.
Inserire
nello stampo dell’agnello pasquale parte della pasta di mandorle fredda
premendola lungo i bordi dello stampo per uno spessore di circa 1 cm, così
da formare quella che sarà la parte dell’agnello visibile all’occhio. Dopodiché
riempire la cavità dell’agnello con la pasta di pistacchio e rivestire infine
la base con il resto della pasta di mandorle. Lasciare che il dolce si
indurisca un po’ all’interno dello stampo e poi estrarlo con cura.
L’agnello
pasquale di Favara si può servire così com’è (magari decorandolo con un
fiocchetto o un campanellino al collo e uno stendardo piantato sul dorso)
oppure lo si può arricchire ancora di più, guarnendolo in base al proprio estro
creativo. Per creare, ad esempio, il manto di lana dell’agnello si può fare
ricorso agli stessi colori alimentari che si usano per dipingere la frutta di
Martorana oppure a del fondente di zucchero e qualche perlina argentata da
spargere qua e là sul manto o, ancora, lo si può creare in maniera ancora più
elegante modellandolo con una sac à poche contenente un po’ di pasta di
mandorla ammorbidita con acqua.
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